martedì 29 novembre 2011

In uscita il nuovo libro di Marco Marzi


PROVE DI ROMANESCO:

ARCHILOCO E DIOGENE

Che Marco Marzi amasse le favole risalenti al periodo greco si sapeva già. Ha dedicato buona parte della sua vita nella selezione e nella traduzione delle favole di Esopo. Che Marzi fosse un amante del dialetto romanesco, quello vero, si sapeva dai tempi della pubblicazione delle sue poesie e non ultima “Via De La Maranella”, la sua più recente raccolta, che ricostruisce, in una monumentale ricerca linguistica il vocabolario del Belli. Quello che non si sapeva e che emerge principalmente in questo lavoro, oltre al consueto amore per le favole antiche e per il dialetto romanesco, è il rimarcare con estrema potenza poetica le sue posizioni politico-sociali, tanto da risultarne un vero e proprio elogio dell’Indipendenza in tutte le sue forme.

La libertà dalle convenzioni sociali, il non riconoscimento dei cosiddetti “potenti” e il relativo non subordinamento a regole di cui non si sente partecipe, l’affrancamento dai bisogni materiali e dai lussi. E per dirla tutta anche una ostentata forma d’anarchia, senza tralasciare il rispetto della natura intorno e all’interno dell’essenza umana.

In questo libro di Marzi si ha la sensazione che scelga dei veri e propri compagni di viaggio con cui condividere le sue teorie. Si inserisce sulla stessa scia di Archiloco, poeta rivoluzionario greco, amatissimo anche da Omero, ripescandone i pochi casi in cui si è espresso usando la forma della favola. E si serve principalmente di aneddoti che riguardano la vita del filosofo Diogene immedesimandosi a tal punto da condividerne tutte le idee predicate con spirito provocatorio, tanto da attualizzarne il suo cinismo e i suoi principi morali: l’autarchia (il bastare a se stessi), e non meno importanti l’anaideia (l’impudenza, il fare tutto in pubblico, che procurò a Diogene l’appellativo di cane), la parresia (il linguaggio informale e senza regole) e l’apatia (l’impassibilità, l’imperturbabilità). Ricordando che il termine “cinico” viene dalla radice greca che indica la parola “cane”. E allora ben venga anche la vita di un cane, come recita una delle poesie dello stesso autore, se è una vita libera di poter scegliere come bere e come mangiare alla faccia di tutti quelli che ogni giorno si umiliano e si lasciano schiavizzare morendo lentamente. E ben venga questo lavoro che ci ricorda che esiste ancora una forma di ribellione artistica e che l’anticonvenzionalismo e il culto della libertà individuale erano conosciuti fin dai tempi più antichi.

lunedì 18 luglio 2011

Gabriele Peritore alla Sala del Refettorio della Biblioteca della Camera dei Deputati


Roma: “L’orizzonte perduto ed il dolore trattenuto”

99 poeti e 3 fotografi per il patrimonio librario della biblioteca dell’Aquila

Roma 14 lug 2011 - Nello scenario forte ed austero della Sala del refettorio della Biblioteca della Camera dei deputati è andato in scena il reading poetico per L’Aquila, con le parole della scrittrice novantenne Mila Marini, unite alle voci di altri importantissimi autori quali Bianca Maria Frabotta, Gabriella Sica, Gilberto Mazzoleni, Riccardo Duranti, Jole Chessa Olivares, Cony Ray, Gabriele Peritore, Luisa Gorlani, Daniela Fabrizi, Angelo Sagnelli, Marco Orlandi, Lina Lolli, Melchiorre Carrara e Paolina Carli.


Un intreccio e una contaminazione tra voci, parole ed immagini per ribadire il ruolo importante della cultura per la rinascita de L’Aquila e dell’ Abruzzo. Nell’introduzione Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione Nazionale dei Critici Letterari, ha detto: “Il progettoL’orizzonte perduto ed il dolore trattenuto” parte da un luogo istituzionale e quindi in questo luogo ha il battesimo nazionale”. Sarà il faro per altre iniziative simili in tutto il paese”. Per più di due ore si sono succedute senza interruzioni le letture di poesie e pensieri dedicati a L’Aquila e ai suoi figli morti. Parole struggenti e forti quelle della poetessa Daniela Fabrizi, che chiama gli aquilani “Fratelli operosi” e in un altro componimento dice: “la morte è anche il tacito assenso”. Esprime il forte disagio per la situazione ancora non risolta il poeta e l’antropologo di chiara fama Gilberto Mazzoleni, che definisce la storia de L’Aquila una delle storie nere della Repubblica.


Dopo la lettura dei testi poetici, è stata la volta delle immagini realizzate dai fotografi del Gruppo Occhio Quadrato, Rino Bianchi, Marcello Molino e Valentina Protopapa. Un foto racconto composto di 21 immagini in bianconero e colore che ripercorrono in modo pulito e senza fronzoli la triste esperienza del sisma del 6 aprile 2009 che ha dissolto, in pochi secondi, una comunità, ha distrutto la storia e l’architettura, ha modificato il paesaggio. Nella fotografia si legge la paralisi, la Città chiusa simile ad un teatro senza pubblico. Tutto è fermo e il paesaggio sconvolto, si avverte il senso di assenza. Nel momento della visione e dello scatto il pensiero corre a quei cortili che un tempo avevano il brusio e ora sono abbandonati, macerie. Oggetti fintamente ordinati, oggetti immobili, ormai senza padroni, giocattoli impolverati, soli e tristi, senza bambini. Fotografie che offrono lo spunto per le riflessioni, non senza un filo di speranza, perché L’Aquila e l’Abruzzo sono stati feriti ma non uccisi.